La Grande Guerra 1914-1918

 

 

AUDIOTECA DELLA GRANDE GUERRA

ITALIA - AUSTRIA-UNGHERIA - GERMANIA - GRAN BRETAGNA

LA LEGGENDA DEL PIAVE E LE CANZONI DEGLI ALPINI


LA LEGGENDA DEL PIAVE
TA-PUM
MONTE NERO
LA TRADOTTA
SUL PONTE DI BASSANO
MONTE CAURIOL

Il sito ufficiale del Coro A.N.A. di Milano

"Ta-pum", la canzone dell’Ortigara

Uno tra i più noti motivi della Prima Guerra Mondiale, al quale furono applicate numerose varianti. Secondo uno studio di A. V. Savona e M. L. Straniero pubblicato da Garzanti, la sua origine risale ai lavori di scavo per la ferrovia del San Gottardo (1872-1880), il titolo Ta-pum si riferiva appunto allo scoppio delle mine. Ai minatori veniva attribuita anche l’altra famosa canzone: “La tradotta che parte da Torino”. Secondo una seconda autorevole fonte impersonata da Franco Brunello e pubblicata ne l’Alpino (n.6 - 1987) a creare “Ta-pum” fu un ardito bombardiere volontario del I° conflitto, tale Nino Piccinelli, nato a Chiari nel 1898, ottimo musicista e valoroso combattente sull’Ortigara. A fine guerra il compositore stesso confidò ad un giornalista come ebbe a sorgere il famoso inno. “L’ordine era di conquistare quota 2105. La nostra trincea distava poche decine di metri da quella austriaca….., diedi una nota ad ogni sospiro della mia anima, nacque così l’accorato e disperato canto, tra i lugubri duelli delle artiglierie, il balenio spettrale dei razzi di segnalazione e il gemito dei feriti. Dal tiro infallibile dei cecchini nemici che riecheggiava a fondo valle scaturiva il micidiale Ta-pum, ta-pum, ta-pum. Furono 20 giorni d’inferno, senza che nessuno ci venisse a dare il cambio, l’inno venne cantato in quei giorni dai miei commilitoni”.

Sempre dalle memorie del Piccinelli si ricava che il famoso Giacomo Puccini una sera del 1922 ebbe a dire: “Darei il secondo atto della mia Bohème per aver scritto Ta-pum!”. L’inno con gli anni venne adottato dagli Alpini, poiché composto sulle balze rocciose dell’Ortigara, montagna sempre cara alle penne nere.

G.D.F.

Nel corpo degli Alpini troviamo numerosi canti di guerra: molti parlano delle battaglie, altri sono un inno all'Italia o al valore alpino; molti, però sono veramente toccanti, mettendo in risalto gli aspetti più crudi della guerra: la morte del capitano, il dolore dei soldati, la crudeltà degli imperatori e quasi sempre la morte di tanti soldati: "tutti giovani sui vent'anni".

Certamente le canzoni di guerra sono uno degli elementi fondamentali per la cristallizzazione della memoria della Grande Guerra. Sono al centro di una specie di reversibilità di qualità civili e militari che, durante il conflitto, vengono richiamate a guisa di anatema e ragione ultima per la quale si soffre, si combatte e si sogna un rientro nella società civile della pace. L’ideale di quest’ultima aiuta il combattente a sopportare fatiche, privazioni e dolori, mentre le virtù e le doti militari, legate al senso del dovere, coadiuvano analogamente gli sforzi per l’agognata pace.

La musica, semplice ma diretta al cuore, unita a parole profonde e solo apparentemente “facili” da rimare in poche strofe, si offrono come un vero e proprio arsenale identitario per ciò che è diventato un mito: quello degli Alpini certo, che furono particolarmente prolifici nel “musicare” le loro leggendarie gesta, ma anche quello del “fantaccino” in generale, che lascia come suo unico testamento poche, semplici e dolorose emozioni che raggiungono chiunque.

Ancor oggi spesso non ci si rende conto come nel nostro immaginario collettivo il Corpo degli Alpini e l’idea del fante in trincea, si sposino inequivocabilmente al ricordo e alle atmosfere della Grande Guerra. Ecco la forza di un canto, nato spesso durante una trepidante vigilia di un assalto o dopo un cruento scontro, che forse meglio di un saggio, un diario e persino di una fredda e tagliente statistica ufficiale, riesce a superare le barriere del tempo e a testimoniare ad imperitura memoria ciò che accadde quasi un secolo fa.

Il mito degli Alpini si concretizza dunque anche attraverso questo viatico musicale, sfruttando una insolita liturgia di trapasso verso la morte, durante la guerra, e di memoria irrinunciabile, in tempo di pace.

Non a caso, esistono moltissimi cori Alpini professionisti o anche amatoriali, che continuano spontaneamente a raccogliere questa eredità di chi visse, soffrì e perse la vita durante la Grande Guerra, ad un passo dal cielo; grazie alle voci di oggi, possiamo viaggiare nel tempo e rivivere in modo estrememente toccante le stesse emozioni e gli stessi battiti del cuore di semplici uomini arditi, che diedero così tanto per ideali di Patria, di Pace e di Amore.

Inni e marcette hanno accompagnato per decenni le truppe in armi duranti gli spostamenti e i momenti di riposo dalle tante battaglie. Tra le più note vi sono quelle intonate dalle penne nere La prefazione alla “Raccolta di inni e canzoni nazionali, edita nel 1918 dal Corpo Americano YMCA in Italia, a ragione indicava: “… L’Italia non per nulla viene detta terra del canto. Qui, più che in ogni altro paese del mondo, troviamo quella spontanea vena musicale che volentieri esprime e si manifesta col canto e nel canto”. La pubblicazione trattava l’ampio repertorio epico-lirico delle canzoni militari, a quest’opera seguì nel 1930 l’attento studio del capitano Cesare Caravaglios volto a discernere i motivetti intonati dalle truppe da quelli in uso tra i braccianti.

Tuttavia il vero fine era osannare la figura del soldato che, attraverso inni patriottici cantati in trincea e durante le marce di spostamento, superava o almeno in parte leniva le angustie di una guerra lunga e massacrante. Le interpretazioni sull’operato di questo “storico di regime” sono varie ed opinabili, è tuttavia doveroso attribuirgli il merito di aver raccolto tante canzoni, scavando fino alle radici della memoria degli allora “freschi reduci”. In mezzo a tanti titoli che raccontano ed esaltano le gesta dei vari battaglioni e compagnie, troviamo un ampio repertorio dedicato alle schiere alpine. La montagna e i cori, difficoltoso se non impossibile dividere l’una dall’altra queste due entità, ma la “truppa di pianura” era ben lontana dal cimentarsi in corali acuti o prolungati bassi. Preferiva le strofette spregiudicate e burlesche, ove denunciare il rancio sempre scarso, prendersi gioco di questo o quell’ufficiale imboscato, del maggiore promosso al grado di colonnello grazie al sangue dei poveri fantaccini che colorava il parapetto della trincea nemica.

Alpino A differenza di quanto in uso preso la fanteria, raramente nelle canzoni intonate dalle penne nere si accusavano i graduati, questo perché anche chi portava le stellette era solito condividere i rischi delle cannonate, dei congelamenti in alta quota, accompagnandosi col soldato semplice nel precario isolamento che dona la guerra tra rocce e ghiacciai. Ad elencare anche solo i titoli delle canzoni che hanno per comune denominatore la montagna e gli alpini, non basterebbe questa rubrica del giornale, così vasta è la produzione dei molti autori spesse volte rimasti sconosciuti. Ma altrettanto variabili sono le strofe abbinate ai reparti specifici, legate a filo doppio con i distretti di reclutamento e relative forme dialettali. In molti stornelli è usata la terminologia caratteristica del gergo militare, una vera e propria “lingua di guerra” nata al fronte e adottata da tutto l’esercito. Tra le varie locuzioni rivolte a procurare rime allegre e forse anche ridicole troviamo espressioni quali: marmitta, cicchetto, mafia, stecca, ghirba, fifa…., fino ad arrivare agli appellativi che distinguevano specialità e reparti: “Brigata polenta” stava per Brigata Casale, “Chichirichì” per i Bersaglieri, la “Vasellina” era il Corpo Sanitario, la “Buffa” per la Fanteria e gli “Scarponi” per le truppe alpine. Aleggiava tra i testi intonati dagli alpini un misto di romanticismo e tristezza per l’esistenza precaria imposta dal conflitto, al quale si contrapponeva l’amore per le valli e le vette, stupenda e naturale coreografia idonea alle interpretazioni dei cori.

Tra le opere indimenticabili merita menzione “Il testamento del Capitano”, derivato da una antica ballata composta nel 1528 per onorare la morte del marchese di Saluzzo, capitano generale delle armi francesi. Il testo, più volte rielaborato nei secoli, fu adottato dai nostri alpini, divenuto famoso con la Prima Guerra Mondiale, venne ancora intonato durante la Seconda. La melodia rimase la stessa, cambiarono solo le parole. Memorabile pure la nota “Sul ponte di Bassano”, l’opera, suddivisa in quartine, prende il nome dalla città ai piedi del Grappa, importante centro logistico durante il conflitto, ma anche luogo dove è eretto il famoso ponte sul fiume Brenta, detto “ponte degli alpini”. E poi avanti ancora con altri titoli storici: da “Valore Alpino” (anche detta “Trentatre”) all’”Inno degli alpini sciatori”, da “Va l’alpin su l’alte cime” a “Sul cappello che noi portiamo”, e “Monte Nero”, “Monte Canino”….

AlpiniCanzoni stupende più apprezzabili se cantate grezze, senza l’ausilio di elaborati arrangiamenti, giacché le parole da sole, talvolta, sono preferibili all’acustica degli strumenti.Per dirla come lo scrittore e reduce Paolo Monelli: “In queste canzoni si sente un odor di paese, di castagne arrosto bevute col vino nuovo, di ragazze branciate dietro le siepi autunnali con oneste intenzioni matrimoniali; perché l’alpino incantona sì spesso la ragazza; ma poi la sposa; e vuole una sposa che sappia fare il pane e i biciolan; e attacchi per bene i bottoni al marito, “ca li taca in na maniera, ca li taca par dabon”.

G.D.F.

 


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