La Grande Guerra 1914-1918

 

 

APPROFONDIMENTI

LA DIPLOMAZIA DI BENEDETTO XV
(di Massimiliano Italiano)

Il 20 settembre 1870, le armate italiane varcavano Porta Pia. Con la sconfitta del Vaticano si poneva fine al potere temporale dei Papi che durava da oltre mille anni, dal 756 d.C, anno della donazione di Pipino re dei franchi al Papa Stefano II dei territori di Ravenna, della Pentapoli e del Ducato di Roma. Un anno dopo, nel 1871, con la legge delle Guarentige, il Vaticano firmava la sua sudditanza allo Stato italiano. Perfino i palazzi Vaticani divennero di proprietà dello Stato, e il Papa sostanzialmente un ospite. La perdita dell'iniziativa politica, costrinse gradualmente il Vaticano ad un isolamento diplomatico forzato, riducendo i suoi rapporti a soli Imperi Centrali e alla Spagna.

Papa Pio XLa posizione oltranzista del Vaticano aveva indispettito gli ambienti liberali. La politica culturale adottata da Pio X vedeva la Chiesa in una posizione di netto contrasto con il mondo positivista e modernista. Con la bolla Pascendi del 1907, Pio X dette ad intendere di voler continuare la lotta al “modernismo” intrapresa dal suo predecessore. Ma la sua iniziativa aveva diviso il mondo cattolico, poiché una parte di esso era ormai favorevole ad un più realistico inserimento delle ragioni di fede nella politica italiana, e così difendere al meglio gli interessi della Chiesa. Così, quanto nel settembre del 1914 venne eletto Papa Giacomo Paolo Battista dalla Chiesa ( Benedetto XV ), la posizione politica del Vaticano era compromessa e i venti di guerra che soffiavano in Europa rendevano quasi impossibile un reinserimento del papato nei circuiti della diplomazia internazionale.

L'8 settembre del 1914, al suo primo discorso pubblico, Papa Benedetto XV esordì con una richiesta di pace a tutti i popoli europei, suggerendo, come alterativa alle armi, la soluzione negoziale. Gli appelli del Papa alla pace continuarono fino al termine del 1915, quando era ormai caduta ogni speranza di riconciliazione ed anche l'Italia era ormai nel vortice della guerra. Un richiamo alla pacificazione venne reiterato il 10 novembre del 1915 con l'enciclica “ad beatissimi”; si trattava di un lavoro intellettuale più articolato e più penetrante dal punto di vista morale: si condannava l'egoismo umano, il materialismo, la mancanza di amore tra l'uomo e si dipingeva una società barbara e spietata. La soluzione a tutto questo male era racchiusa in un ritorno ai principi cristiani; ciò si sarebbe potuto realizzare se la Chiesa fosse stata libera di operare nel mondo.

Lo stemma papale di Benedetto XVEra chiaro il richiamo ad un pieno riconoscimento politico dello Stato Vaticano. Seguirono, nei mesi successivi, due altri appelli in favore della pace, anch'essi però caduti nel vuoto: la tregua di Natale e la preghiera di pace del 10 gennaio 1915. Il 28 luglio, Papa Benedetto XV, in una esortazione apostolica, tentò un ultimo disperato appello alla pace.

Fin qui nulla di nuovo se non fosse per il fatto che nella presentazione del testo si faceva per la prima volta riferimento a dei principi nuovi per la comunità internazionale: i diritti e le aspirazioni dei popoli, l'equilibrio del mondo e la sicurezza internazionale. Il tema era particolarmente sentito negli ambienti Vaticani, soprattutto ora che l'Italia aveva deciso da che parte stare. La firma del patto di Londra garantiva all'Italia l'esclusione del Papa alle future trattative di pace ( art. 15 ), quindi ogni possibilità che questi potesse in qualche modo rientrare nel gioco delle diplomazie europee in veste di capo di Stato. A nulla erano servite le pressioni sull'imperatore Carlo affinché accettasse le richieste territoriali italiane, salvaguardando così la pace tra i due paesi. L'adesione dell'Italia all'Intesa comportò una serie di risvolti negativi per la diplomazia Vaticana: in primis rischiava di allontanare i rapporti con gli imperi centrali, gli unici possibili agganci in Europa, indeboliva l'Austria, l'ultimo impero cristiano, e metteva definitivamente in crisi i rapporti con lo Stato italiano, oltre che anticlericale, ora anche anti austriaco. Il riferimento con i parlamentari di Sturzo era ormai da considerarsi perduto e con esso ogni possibile contatto con la politica italiana che potesse salvaguardare l'attivismo del Vaticano. Il risultato di questo isolamento fu che vennero censurati l'Osservatore Romano e la Civiltà Cattolica; perfino la posta venne sottoposta a controllo militare.

Benedetto XV, ormai alle strette, decise, così, di giocare tutte le sue carte dando voce al cattolicesimo come libera autorità morale al di sopra di ogni interesse politico. La creazione dell'Opera dei prigionieri, per esempio, può essere vista in quest'ottica di legittimazione della Chiesa cattolica. L'Istituto volse il suo impegno all'assistenza materiale e spirituale dei prigionieri internati. Per mezzo dei prelati arrivavano nai campi di prigionia i doni di famiglia, la corrispondenza e si dava conforto agli ammalati.Papa Benedetto XV Nei casi più gravi, gli inviati si facevano carico di far rientrare i prigionieri moribondi o, su richiesta delle famiglie, facevano ricerche su persone scomparse.

La messa della domenica faceva sentire un po' a casa i soldati impegnati al fronte; soprattutto per i più credenti, la confessione e la benedizione prima dell'attacco poteva aiutare a vincere lo sconforto dato dal timore della morte. L'impegno umanitario della Chiesa cercò di essere universale, ed anche dove non fu possibile un impegno diretto venne utilizzato ogni mezzo diplomatico per ridurre le sofferenze umane. Fu così, ad esempio, in occasione dell'eccidio armeno da parte dei turchi. All'epoca, sul territorio ottomano, il Vaticano poteva contare su tre delegazioni: una per la Siria e il Libano; una per la Mesopotamia e il Kurdistan; una su Costantinopoli. Proprio quest'ultima, che godeva dei collegamenti diplomatici anche con Germania e Austria, fece pressioni sul governo turco affinché cessasse la persecuzione degli armeni. La nota diplomatica cadde però nel vuoto, e a nulla valse la lettera inviata direttamente da Benedetto XV al sultano Maometto V. La missiva, dal tono molto diplomatico e compromissorio, riconosceva il torto subito dai turchi da parte degli armeni che avevano combattuto al fianco dei russi, ma chiedeva che perlomeno venissero rilasciati gli innocenti.

Inutili, almeno agli effetti pratici, furono anche gli appelli rivolti ai belligeranti europei per la cessazione del blocco continentale e della guerra sottomarina che portavano sofferenza alla popolazione civile. Perfino Wilson ricevette una richiesta di sospensione del commercio degli armamenti americani. Solo la Germania, che aveva un interesse diretto alla conservazione dello status quo, in quanto territorialmente ancora vincente, rispose all'appello del Papa, proponendo un accordo di pace europeo, con intermediario lo stesso Benedetto XV, senza però alcuna concessione all'Intesa. La proposta venne però rifiutata dal Pontefice che ritenne troppo di parte un'eventuale appoggio all'idea tedesca, sebbene potesse rappresentare, finalmente, l'occasione sperata per rientrare a pieno titolo nel circuito diplomatico europeo. Il maggior riconoscimento morale per Benedetto XV è sicuramente la “nota per la pace” del 1917.

Nel messaggio alle nazioni vengono anticipati alcuni princìpi ripresi poco più tardi da Wilson nei famosi 14 punti. Seppur con un principio motivazionale diverso, il Pontefice si fa precursore di princìpi che diverranno pilastri del diritto internazionale: l'autodeterminazione dei popoli, la libertà dei mari, il disarmo e l'arbitrato internazionale. Nel documento, il Papa chiarisce che il principio di nazionalità va inteso nel senso di libera volontà dei popoli e non invece come semplice ritaglio territoriale su base etnica; perciò proponeva di organizzare un tavolo di trattative che sancissero un ritorno alla situazione pre guerra, senza vinti e vincitori, di decidere sul destino dei popoli europei per mezzo di un arbitrato internazionale e di iniziare un programma di reciproco disarmo delle nazioni per evitare ulteriori guerre future.

La pace europea, il fallimento della Società delle Nazioni e la seconda guerra mondiale, non tradussero in fatti i desiderata di Benedetto XV, ma certamente concessero al cattolicesimo una rivincita morale sulla necessità di una pacificazione dei popoli che altrimenti avrebbe portato ad atroci sofferenze e forse alla distruzione dell'umanità.

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