Ristampato “I Recuperanti - Appunti del servizio stampa n. 29”. Dopo quasi 30 anni dalla prima edizione, la casa editrice asiaghese Tipografia Moderna ripropone in libreria quello che, a buon diritto, si può definire il primo volume dedicato agli appassionati della ricerca di reperti tra le trincee della Grande Guerra. Nel 1985 le copie del volume a tiratura limitata andarono subito a ruba, pur trattandosi di una pubblicazione rivolta al ristretto pubblico di cultori che si erano entusiasmati col film di Ermanno Olmi. Il libro non finì mai tra i banchi dei mercatini rionali, ma custodito gelosamente dai proprietari, guardando ad esso come ad una rarità che il passare del tempo avrebbe sicuramente impreziosito. Lo stesso film del regista Olmi, altopianese di adozione, circola online su vari siti web, cliccato periodicamente da migliaia di visitatori alla ricerca delle scene più emblematiche. L’opera cinematografica oggi è considerata un cult dai recuperanti moderni, che armati di sofisticati metaldetector sondano i campi di battaglia, magari proprio tra i boschi dove i protagonisti, Gianni Lonigo, interpretato da Andreino Carli e il vecchio Du, impersonato da Antonio Lunardi, giravano le scene della fiction nel 1969.
Il volume ristampato riporta fedelmente i dialoghi dei vari attori, le location e le annotazioni che i tre autori: Kezich, Rigoni Stern e Olmi elaborarono per il film prodotto dalla RAI Radiotelevisione Italiana. La figura di Toni Lunardi è stupendamente introdotta la “sergente”, che ci racconta risvolti interessanti del “Toni mato”, alpino reduce delle battaglie tra Malga Fossetta e Cima Caldiera. La nuova edizione è a cura di Giovanni Dalle Fusine, con una sua ampia prefazione introduttiva.
Estratto dalla prefazione di Giovanni Dalle Fusine:
Sono trascorsi quasi trent’anni da quando lessi per la prima volta gli “Appunti del servizio stampa n. 29”. Già pochi mesi dopo la pubblicazione a cura dell’editore e amico Pino Barolo, il volume sembrava essersi volatilizzato dagli scaffali delle librerie, troppo poche le copie stampate, fors’anche era già grande l’interesse per il tema trattato nelle pagine del libro.
Il titolo richiamava subito al film “I Recuperanti”, la foto di copertina riportava una sequenza della fiction diretta da Olmi: due individui ai bordi di uno scavo, intenti ad estrarre delle granate. Ce n’era abbastanza per stimolare negli appassionati di reperti bellici il desiderio di possedere una copia dell’opera.
Anacronisticamente sulla lettura del libro, vidi poi il film, trasmesso in tarda serata su un canale della tv nazionale, e fu, mi si passi il termine, un ritorno di fiamma. Sarà che molti dei luoghi usati per la location mi erano familiari, sarà che ero appena riuscito a strappare una breve intervista a Mario Rigoni Stern, ma sullo schermo televisivo quell’opera cinematografica prodotta con budget ben lontano dalla realtà hollywoodiana e interpretata da attori non protagonisti, mi concretizzava nella mente le immagini e i dialoghi fino ad allora percepiti solo attraverso la penna degli scenografi. Le baracche di malga Pozze, l’osteria Fontanella, i Lazzaretti, contrada Buscar e le trincee di Cima Ongara diventavano finalmente realtà. Giocoforza fu tornare a rileggere il libro, ora vedendo il tutto sotto una nuova luce rivelatrice. Approfondire le tematiche che Ermanno Olmi aveva trattato nel film divenne una azione naturale. Da allora ho cercato sui Sette Comuni i tanti vecchi “Du” che avevano fatto del recupero una professione, montanari “DOC”, taciturni, essenziali, realisti, in una parola: uomini. In molte circostanze arrivavo tardi, poiché l’età e gli acciacchi naturali avevano avuto la meglio sulla loro salute, come quando giunsi poco oltre la contrada Campanella di Gallio, in direzione Val dei Ronchi, e scoprii che nei paraggi un tempo abitava il “Toni Mato” de “I Recuperanti”. Parlare con i suoi famigliari mi colmò un vuoto; ero a casa del personaggio, mi sentivo vicino al “Du”.
Di Lunardi, di quell’uomo che “con i proventi del cine si era comprato le pecore”, volli sapere ogni cosa, arrivando a tenere in mano e leggere il suo foglio di servizio militare. Di secondo nome faceva Francesco, era stato emigrante in Germania, poi alpino sul Carso e in Altopiano, quindi ancora lavoratore in Francia fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, poi pastore sui pascoli montani, recuperante e infine attore. I parenti rievocavano la figura del nonno attribuendogli una personalità particolare. “Finita la scuola – mi dissero i nipoti Marina e Attilio - aspettavamo con ansia il momento in cui nonno Antonio ci avrebbe raccontato fantastiche storie. Cento trame intrecciavano i suoi racconti che duravano settimane, perché tante erano le puntate con cui divideva le narrazioni; uno spasso per noi bambini”. E uno spasso lo deve esser stato davvero quell’ottantenne “artista per caso”, scritturato fortuitamente mentre stava beato all’osteria della Contrada Buso.
Lo conferma Andreino Carli, il Gianni Lonigo del film che ancora oggi risiede sull’Altopiano: “Olmi mi diede la parte del reduce che torna dal fronte, mi notò mentre in processione percorrevo le vie della Rogazione. All’epoca avevo 26 anni e lavoravo come agente di commercio, mi occupavo di arredamenti da bar. Oltre a recitare avevo anche mansioni di interprete, perché il Toni parlava solo dialetto e non comprendeva le indicazioni del regista, perciò gli dovevo tradurre le battute in veneto, e confesso che il compito non fu tanto facile. Lunardi era come un bambino nel paese dei balocchi, non credo avesse ben realizzato che si stava girando un film, e in cuor suo sperava che le riprese non finissero mai. Parafrasando un luogo comune tanto caro a chi all’epoca era già anziano, Lunardi affermava di aver trovato l’America. Ah! Sti bisi de foresti – diceva – non potevano venirmi a cercare quaranta anni fa, quando ero più giovane e forte?”
Parole, ricordi e rievocazioni che aggiungono pathos alla storia stupenda costruita da Olmi, Rigoni Stern e Kezich, esperienze su cui molti altopianesi potevano identificarsi, poiché la sorte di andar per ferri coinvolse migliaia di persone residenti sui Sette Comuni. Oggi solo pochi conterranei del “sergente” reduce dal fronte russo praticano questa attività. Sparsi per le contrade resistono alcuni arzilli pensionati che perpetuano le azioni dei padri, anche se con spirito diverso si aggirano con moderni strumenti elettronici per boschi e radure alla ricerca di cartucce e schegge di spoletta. È un lavoro che non rende più, anzi non è per nulla un impiego, ma un semplice passatempo mosso dalla passione.
I nuovi recuperanti sono altra cosa e vengono da lontano, macinano chilometri in automobile da tutta Italia per arrivare sull’ex fronte alpino, con un bagaglio memorizzato di documenti e cartine topografiche tratte da pubblicazioni tematiche e da siti internet dedicati, sondano i campi di battaglia alla ricerca di cimeli. Quanto ricavato dalla raccolta non viene venduto a peso agli intermediari delle fonderie, ma accuratamente restaurato e gelosamente custodito. Buona parte di loro risulta appartenere ad associazioni storiche, all’interno delle quali si manifesta il confronto sui reperti, con approfondimenti e ricerche ben degni della più progredita archeologia. Li accomuna ai due personaggi diretti da Olmi solo il piccone usato per scavare lungo le trincee, perché in mezzo secolo tutto si è evoluto. Il radar usato per la ricerca è diventato metaldetector, gli oggetti da trovare non sono più piombo, ghisa e ottone in misura di quintali, ma piccoli reperti rappresentati da gavette, distintivi da berretto e bottoni, unitamente a tutte quelle cose che dopo un secolo di permanenza sul terreno sono ancora identificabili come testimonianze di storia vissuta e patita dai nostri nonni. Su forum e blog si caricano immagini di ritrovamenti che vanno a stimolare discussioni della durata di mesi e con centinaia di contatti, pagine e pagine telematiche lette da utenti residenti in ogni regione italiana, ma cliccate da cybernauti connessi dai vari continenti.
Col passare del tempo la ricerca è divenuta oggetto di regolamentazione, con normative regionali che vincolano l’attività di scavo al rilascio di autorizzazioni e al possesso di un patentino. Restrizioni, per quanto necessarie, che farebbero sorridere i tanti Toni “Du” che col loro raccogliere hanno ripulito e bonificato i campi di battaglia; operai al comando di nessuno, senza orari da rispettare né contratti sindacali, desiderosi soltanto di godere degli spazi aperti, liberi di spaccarsi la schiena sulla china di un monte, o tra gli anfratti di una stretta valle.
Come affermava Renzo Stefani, vecchio recuperante di Mezzaselva: “Il nostro è il lavoro più bello che il Signore ci ha dato”. Lo diceva qualche anno fa, disteso sul letto dalla sua camera, al secondo piano di una casa di riposo, lontano da quei boschi e pascoli che fino alla fine dei suoi giorni sognava di ripercorrere, col fedele piccone sottobraccio e sulle spalle lo zaino colmo di ferraglia. Desideri che quaranta anni prima Olmi attribuì ai dialoghi dei protagonisti nella sua pellicola: “…via da tutti per conto tuo senza donne e senza padroni”, testuale nel copione del film memorizzato con non poca fatica dal vecchio Lunardi per la scena in cui deve convincere Gianni a seguirlo. “…e se vuoi un consiglio tu che sei giovane, fai come me: vieni per le montagne, che c’è una fortuna”.
“Il vecchio Lunardi – ricorda ai giorni nostri Olmi – era già un personaggio di suo. Non si poteva dirigere Antonio secondo una modalità abituale; il fatto che non avesse le idee ben chiare su quello che stavamo facendo con la cinepresa, le luci e i vari strumenti di scena, si rivelò un vantaggio per me che dovevo dirigerlo e per il risultato a cui puntavo.
Non cercavo di farlo emergere come un eroe negativo, moralmente antagonista del Gianni Lonigo. Ho voluto far apparire i due protagonisti con lo stesso valore, semplicemente l’uno il riferimento di dialogo per l’altro. Entrambi sono figure positive, pur nella evidente differenza di età e cultura. L’eroe negativo che si voleva evidenziare con la pellicola è la guerra, nel senso ampio della parola, quindi ogni conflitto in cui qualcuno vuol essere vincitore sugli altri. La guerra innegabilmente ha permesso ai profughi ritornati sulle ex zone del fronte di ricavare di che vivere dai resti delle battaglie, ma non ho voluto mostrare col film che anche la distruzione si porta appresso qualcosa di vantaggioso e possa alla fine eleggersi a fonte di sostentamento economico. L’unica cosa buona di una guerra è che ci fa capire il valore della pace”.
Ricordare quegli originari cercatori è il fine della presente ristampa, perché i nuovi recuperanti scoprano quali radici ha la loro passione.
G.D.F.
“I Recuperanti”, Ediz. Tipografia Moderna Asiago. (15,00 Euro) |