“Non credo di poter essere definito storico. Forse “storiografo” o, meglio,  “scrittore di storia”, dato che mi dedico alla materia solo per passione personale” 
                 Nato  nel 1963, sposato e padre di due figli, risiede a Borgo Valsugana (Trento) e  lavora come dirigente medico presso il locale ospedale San Lorenzo. Dal 1987 si  dedica allo studio degli avvenimenti bellici del ’15-’18 sul fronte tra la Valsugana, il Lagorai e la Val Cismon, nonché  della guerra austro-russa sul fronte della Galizia, pubblicando svariati  articoli su riviste a carattere storico, curando volumi e diari sull’argomento  e dando alle stampe alcuni testi importanti in materia. Dal 1998 collabora con  l’Associazione Storico-Culturale della Valsugana Orientale e del Tesino in  attività di ricerca storica (incentrata principalmente sulla Grande Guerra e  sul fenomeno dell’incastellamento medioevale nella valle del Brenta). è tra i fondatori ed animatori dell’  “Esposizione Permanente sulla Grande Guerra in Valsugana e nel Lagorai”  allestita nel centro di Borgo Valsugana, attualmente una delle più complete  raccolte documentali, iconografiche e materiali relative agli aspetti locali  del conflitto 1914-1918 sul fronte del Trentino orientale; collabora da oltre  dieci anni con il gruppo A.N.A. di Caoria (TN) e con il locale museo per la  valorizzazione delle testimonianze storico-documentali della grande guerra  sulla catena del Lagorai. 
                Un medico che si appassiona agli eventi del primo  conflitto mondiale, tanto da diventare autore di autorevoli saggi sulla  materia, da dove parte questo desiderio di ricerca? Forse dall'aver in famiglia  qualche antenato che ha servito sotto l'esercito austroungarico?
  
  Posso “vantare”  un nonno materno Kaiserjäger in quanto fedele cittadino austriaco (era di Borgo  Valsugana, all’epoca centro principale dell’omonimo capitanato distrettuale  asburgico), ed un nonno paterno mitragliere alpino, nativo di Santorso (provincia di Vicenza, ndr). Ambedue  furono in azione, da parti opposte, sul massiccio del Pasubio ma non si spararono  presumibilmente l’uno contro l’altro. Ciononostante, la passione e la  conseguente attività di ricerca hanno radici diverse: sin da bambino sono stato  “affogato” nella passione per la storia dai miei genitori, un padre medico  innamorato dei classici letterari greci e latini ed una madre farmacista che  conosceva a memoria tutti i canti dell’Inferno della Divina Commedia e interi  canti dell’Odissea, dell’Iliade e dell’Eneide. Da lì è nato l’amore per la Storia in generale e per  quella militare in particolare, ma senza un periodo storico preferenziale  (almeno all’inizio). Poi, crescendo, è arrivata la passione per la montagna, l’arrampicata  e l’escursionismo. E studiare la Grande Guerra sulle montagne venete e trentine  era un modo per “camminare nella storia”: viaggiare dagli archivi di Roma e di  Vienna alle creste rocciose del Lagorai e degli Altipiani voleva dire poter  “camminare nella Storia e sui luoghi della Storia con cognizione di causa”. 
                 
                  Sulla Prima Guerra Mondiale, che in Veneto è anche  nota come "L'Altra Guera", è stato scritto molto, centinaia di testi  e diari spiegano 5 anni di un conflitto che ha avuto tra i suoi epicentri  proprio il settore posto tra le province di Trento e Vicenza. Quali sono  secondo lei gli aspetti su cui è stato finora scritto poco o nulla.
  
                  Fino ai primi anni 2000 c’erano indubbiamente “zone  d’ombra”, periodi e eventi della Grande Guerra che non erano stati per nulla  analizzati o che erano comunque rimasti in secondo piano. L’ultimo quinquennio,  con le innumerevoli ricorrenze ed anniversari, ha però di fatto cancellato  quasi completamente questi “angoli bui” anche se nella maggior parte dei casi  questa ipertrofica produzione letteraria è stata sostenuta da ragioni meramente  commerciali e di sfruttamento editoriale di materiale preesistente. La  predominanza degli aspetti commerciali, lo “sfruttamento del filone” che le  tecnologie informatiche hanno contribuito a rendere facile anche per  pseudo-storici improvvisati, hanno però, almeno a mio parere, fatto sì che  questa enorme mole di carta stampata sia nella quasi totalità dei casi priva di  qualunque rilevanza dal punto di vista storico-scientifico. Molti lavori non apportano  la minima novità all’argomento al quale sono apparentemente dedicati e il loro  significato è solamente quello di gratificare l’ego e/o il portafoglio di  scrittori ed editori. 
                  Resterebbero fuori, è vero, alcuni aspetti marginali  che non è economicamente conveniente trattare e che finora non hanno trovato  spazi specifici nella storiografia della Grande Guerra: il ruolo delle donne  sul “fronte interno”, i rapporti tra l’autorità militare e i civili dell’area  coinvolta dal conflitto, il profugato delle popolazioni dei paesi investiti  direttamente dalle operazioni militari, ma non si tratta di argomenti dei quali  io abbia una specifica competenza e di cui possa fornire indicazioni o spunti  di ricerca. Ne’, peraltro, me ne sono mai occupato. 
                 
                    Tra i suoi sogni di storico, c'è mai stato quello di  svegliarsi una mattina tra le retrovie del fronte nel 1916, armato di macchina  fotografica penna e notes? 
                     
                  Proprio nel 1916 e nelle retrovie del fronte  certamente no, per il rischio elevatissimo di essere scambiato per una spia ed  essere fucilato! Ma mille volte ho immaginato cosa avrei potuto provare ad  aggirarmi per lo spettrale campo di battaglia dell’Ortigara o sui roccioni del  Cauriol a guerra appena finita, nella primavera/estate del 1919. Un’esperienza  probabilmente affine a quella, irrealizzabile, sopra accennata, l’ho però  vissuta intervistando da amico alcuni reduci ancora viventi negli anni ’90: in  particolare l’alpino del battaglione Monrosa (e poi del Bassano) Giuseppe  Antonio Tadina (di Villette di Val Vigezzo -VB) spentosi nel dicembre 1999 a 103 anni. Aveva  combattuto in Valsugana, a Sant’Osvaldo, a forcella Magna e in Cima d’Asta, sul  Cauriol e sull’Ortigara, per finire intossicato da gas asfissianti sul Grappa a  fine 1917. E si ricordava tutto! Bastava stuzzicarlo con domande specifiche.  Ecco, lì con le classiche “quatro ciàcole” si camminava veramente nella Storia! 
                   
                Spesse volte chi scrive di storia remota si trova a  dover affrontare ostacoli burocratici e tempi lunghissimi per poter consultare  documenti in archivi mai veramente alla portata di tutti e, purtroppo, male  organizzati, magari con fascicoli cannibalizzati da precedenti consultazioni. Nell'era del nuovo millennio, ove tutto è informatizzato, trova lecito che per  controllare un elenco di caduti presso un Sacrario militare sia necessario  sfogliare elenchi redatti con la stilografica da furieri di 90 anni fa? 
                   
                  A mio parere questo, faticoso ma inevitabile, è il  bello della ricerca. Bisogna essere realistici: non sarebbe ipotizzabile, in  Italia, informatizzare gli archivi militari, in particolare l’USSME (Ufficio  Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito). Sia per ragioni di mole di lavoro  (i documenti sono in quantità immense e spesso presenti in più copie) sia per  la ormai definitiva carenza di personale disponibile. Piuttosto, sarebbe a mio  parere più sensato permettere agli studiosi una più agevole consultazione del  materiale che in massima parte è piuttosto bene ordinato. Attualmente, valga  per tutti l’esempio dell’USSME, è concessa al ricercatore la consultazione di  tre soli faldoni  o volumi di  documenti al giorno (che poi è solo mezza giornata, al mattino): un po’ poco  per chi, come avviene nella maggior parte dei casi, può essere a Roma solo per  pochi giorni e solo qualche volta nel corso degli anni, rubando il tempo al  lavoro o alla famiglia. 
                 
                  Secondo lei chi perse veramente la guerra '15 - '18? Pardon,  '14-'18?  
                  Trentino e Austria iniziarono il conflitto un anno prima. Sono in  molti a pensare che la sconfitta colpì solo il popolo, la massa di combattenti  d'ambo i fronti, scaraventati a combattere per ragioni politico-geografiche mai  veramente sentite proprie.
  
  “La guerra – ha detto  Eisenhower – è voluta da pochi che si  conoscono e non si affrontano, e combattuta da moltissimi che non si conoscono  e, pur non volendo, devono affrontarsi”. Questa frase rende bene il  concetto cardine: la guerra è persa da chi la deve combattere; persa perché vi  si muore; persa perché vi si distruggono sogni, affetti, paesi, economie; persa  perché sofferta da coloro che mai ne ottengono benefici. Se però vediamo la Storia dal punto di vista  delle nazioni e non del singolo (che nella guerra ci perde sempre, o quasi),  allora è, a mio parere, innegabile che l’Italia, pur con tutte le sofferenze  note e meno note, la guerra la vinse; ed i benefici, pur al prezzo  dell’instaurazione di un regime tutt’altro che democratico, rimasero per anni  sia in termini territoriali (sia pure con tutte le frustrazioni dovute al  mancato rispetto della parola da parte degli Alleati ed alla dissennata  condotta delle trattative a Versailles da parte della delegazione italiana) sia  in termini di ruolo internazionale. L’Austria-Ungheria invece innegabilmente  perse, assieme alla Germania, anche come nazione; e più della Germania pagò lo  scotto della sconfitta scomparendo come impero e venendo ridimensionata a  semplice staterello-cuscinetto tra Italia e Germania, privo di sbocco al mare e  condizionato da un’economia totalmente dipendente dall’estero. 
                 
                  Un giornalista che si diletta in saggi storici -Lorenzo  Del Boca- ha scritto un libro dal titoli "Grande guerra, piccoli  generali" dove spiega inefficienza e incapacità degli alti ufficiali che comandavano  l'esercito italiano. Alla luce delle sue documentazioni, si potrebbe scrivere  le stesse accuse parlando dei comandanti austriaci?
  
                  Premesso che letteratura, storiografia ed immaginario  collettivo sono in Italia pieni di luoghi comuni tutt’altro che accettabili e  veritieri in merito all’incapacità tattico-strategica dei nostri ufficiali  superiori, non credo che, in termini generali, la medesima accusa possa valere  per la parte austriaca. Questo, senza entrare in dettagli, principalmente a  causa di una ragione: nell’esercito imperiale (come in quello germanico)  l’iniziativa del singolo, dal sottufficiale all’ufficiale inferiore, e su fino  ai gradi più alti, era incentivata, incoraggiata e vista come un utile  contributo alla soluzione dei mille problemi che, imprevedibilmente, si possono  presentare sul campo di battaglia anche nelle migliori condizioni di preparazione  e progettazione preliminare. L’azione del singolo, se coronata da successo, era  riconosciuta come tale e premiata; se con esito negativo, era comunque  considerata (salvo condotte palesemente assurde o suicide) un lodevole  tentativo messo in atto in assenza di direttive superiori. Nell’esercito  italiano, al contrario, l’iniziativa autonoma “dal basso” era assolutamente  temuta, scoraggiata, disincentivata, vista come ribellione alle direttive  superiori, come determinata da sfiducia nei capi; e quand’anche si fosse resa  necessaria, tale iniziativa era sempre considerata atto di cui l’attore si  assumeva (soprattutto in caso di esito sfavorevole) la piena ed unica  responsabilità esentandone pertanto i superiori comandi. In pratica tutti, dal  sottufficiale all’ufficiale inferiore e avanti fino ai gradi più elevati, si  preoccupavano primariamente non dell’esito delle operazioni ma della  possibilità di esserne considerati responsabili, qualunque fosse il risultato  che ne scaturiva. Da qui la terribile macchinosità e lentezza di qualunque  azione tattica o strategica dell’esercito messo in campo dall’Italia e,  soprattutto, l’assoluta mancanza di reattività immediata nel pieno delle  azioni, quando le decisioni rapide e lucide sono essenziali. Né poteva essere  altrimenti, se il principio informatore di ogni decisione era "Attendi gli ordini del tuo superiore", in  modo da poter sempre dire "ho dovuto eseguire una disposizione altrui”, e se proprio devi agire di tua iniziativa  sia ben chiaro che, soprattutto in caso di esito negativo,  te ne assumi la piena responsabilità sotto  ogni punto di vista e che non potrai contare sulla copertura o solidarietà di  chi ti comanda. 
                 
                  Una anticipazione sulla sua prossima opera?
  
                  Sto terminando la revisione delle bozze di una ricerca  imperniata sulla ricostruzione delle vicende storiche e della mitologia  connesse al “cannone di Calceranica”, meglio conosciuto come “il Lungo  Giorgio”. Si trattava del cannone navale (calibro 350 mm) appostato sulle  sponde del lago di Caldonazzo in occasione della Strafexpedition, che avrebbe  dovuto agire contro Asiago per portare disordine e terrore nel centro  abitato  (considerato fino ad allora  fuori dalla portata delle artiglierie austriache) nonché scombussolare  l’apparato di comando della 34ª divisione italiana che in Asiago risiedeva e  dal quale dipendevano le difese alla testata della Val d’Assa e sulla piana di  Vezzena. La reale portata del ruolo “storico” del Lungo Giorgio è ben diversa  da quella comunemente tramandata dalla “vox populi”, ma nonostante questo il  “supercannone” si è ormai saldamente radicato nell’immaginario collettivo delle  genti di Valsugana e dell’Altopiano e per questo merita, a parere mio, un posto  chiaro e definito anche nella storiografia locale.  
                A cura di G.D.F 
                  
                Pubblicazioni di Luca Girotto:  
                “1915-1915. La lunga trincea”(Rossato ed., 1995),  “1914-1918. Tra le rocce, il vento e la neve  …” (Aviani ed. 1996),  “Diario di guerra 1917” ( Società storica Guerra Bianca ed., 1998),  “Casi da guera del ’14-‘16” (Aviani ed.  2000),  “1866-1918 Soldati e fortezze tra  Asiago ed il Grappa” (Rossato ed. 2002),  
                “Il calvario di un fante – dal Carso all’Albania” (Rossato ed.  2005),  “ ’Riva i ‘taliani!” (Comune di Telve Valsugana ed., 2006),  “La battaglia di Sant’Osvaldo” (Comune di  Roncegno Terme, 2007),  “Sull’aspre cime  del monte Cauriol” (Aviani ed. 2007)  
                nonché, in collaborazione con altri  autori, i due volumi  “Guida alla mostra  permanente della Grande Guerra in Valsugana e sul Lagorai”  
                  (ed. Litodelta,  2007), e “Itinerari della Grande Guerra in  Valsugana Orientale e Tesino”  (ed. Litodelta, 2007,). 
                 I lavori più recenti  sono “Forte Tombion – La sentinella del  Canal di Brenta”  (ed. Litodelta, 2008,) e “1915-1918 Al fronte con Paolo Monelli- I luoghi ed i volti de Le scarpe  al sole”, (ed. Litodelta 2008).  |