La Grande Guerra 1914-1918

 

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LA SORPRESA STRATEGICA
DI CAPORETTO

Roberto Bencivenga


Gaspari

La sorpresa strategica di Caporetto - Roberto Bencivenga

Il Generale Roberto Bencivenga, che nell’agosto del 1914 entrò a far parte del più esclusivo entourage del Generale Cadorna, seguì e coadiuvò la maggior parte delle decisioni di quest’ultimo fino a metà del 1917.

In seguito a una grossa divergenza d’opinione con lo stesso Capo di Stato Maggiore, il Generale venne rimosso dall’incarico, punito con gli arresti di fortezza e, infine, trasferito sulla linea del Piave, dove combattè valorosamente fino all’armistizio. L’allontanamento dal Comando supremo non gli impedì tuttavia di seguire le concitate fasi della battaglia di Caporetto e, dopo circa un decennio, fu in grado di rielaborare le sue cognizioni e la sua esperienza in materia, offrendo la propria rilettura di tale accadimento e dell’inchiesta ufficiale che seguì al crollo del fronte nel 1917.

Bencivenga inizia il suo lavoro sottolineando, così come dice il titolo, che si trattò di sorpresa strategica e non di rotta o di totale collasso del fronte, dovuto, come inizialmente si volle far credere, alla defezione in massa delle truppe e al loro scarso spirito combattivo.

A questo proposito vengono fornite ampie prove della validissima belligeranza della IIa e IIIa armata che si trovavano dislocate sulla fronte Giulia quel 24 Ottobre del 1917. Reduci, ad esempio, dal recente successo della presa di Gorizia, i soldati italiani stavano, caso mai, preparandosi a passare un altro inverno in trincea, senza nessun progetto offensivo a breve termine, ma con la risolutezza e la tenacia che da sempre li avevano contraddistinti.

Il Generale Bencivenga contribuisce dunque a screditare completamente le accuse mosse dallo Stato Maggiore ai danni dell’esercito e si sofferma poi sulla testardaggine di Cadorna, convinto fino all’ultimo che gli Austro-Tedeschi non avrebbero mai scatenato l’offensiva di Caporetto. Il Capo di Stato Maggiore italiano infatti, anche ad avvenuta rottura del fronte, fu vittima del suo stesso preconcetto, il che lo portò a fallire nell’opera di organizzazione di una ritirata strategica completa e ordinata, che avrebbe potuto limitare notevolmente i danni e addirittura offrire ottime possibilità di contrattacco.

Il “Capo” infatti indugiò prima sul Montemaggiore, poi sul Torre, a Ragogna (il “monte della vergogna”, come lo battezza egregiamente Mario Silvestri nel suo “Isonzo 1917”), in seguito a Codroipo e, in generale, effettuò a singhiozzo la ritirata al Tagliamento e quindi sino al Piave, abbandonando molti reggimenti in posizioni tanto inutili strategicamente, quanto intenibili perché ormai aggirate dal nemico. La goccia che fece traboccare il vaso coincise con il frettoloso abbandono del comando generale di Udine per Treviso, con un Cadorna sempre più lontano dal fronte e dai suoi soldati che, ormai sbandati e intossicati dalla disperazione, rimasero privi di direttive.

Il Bencivenga, guardandosi bene dal cadere prigioniero del proverbiale “senno del poi”, si prodiga ad analizzare, tecnicamente, come una veloce ed immediata ritirata sul Tagliamento avrebbe potuto ridimensionare un semplice e relativamente limitato successo tattico che nemmeno il nemico poi fu in grado di sfruttare appieno. Ma all’epoca cedere anche solo un palmo di terreno al nemico, senza combattere fino all’ultimo uomo, avrebbe sancito la caduta di qualsiasi Generale al comando, specie un Cadorna che il Governo non apprezzava particolarmente per il modo in cui aveva condotto la guerra fino ad allora.

Sorpresa dunque, indecisione dettata da pregiudizi e timori, orgoglio, ma anche una errata dislocazione delle riserve, ci dice il Bencivenga, e una zona del fronte pressoché sguarnita, proprio nella conca di Plezzo e sull’intera direttrice SagaValle UcceaUdine. Parlare dunque di grande ingegno degli Austro-Tedeschi nel progettare la disperata offensiva del 1917 (dopo le 11 “spallate” del Cadorna infatti, il nemico si trovava malconcio e totalmente incapace di resistere ad un nuovo urto) sarebbe un errore, secondo Bencivenga, leggendo dei risultati che l’effetto sorpresa ebbe anche sugli attaccanti.

Trincee italiane sull'IsonzoQuesti ultimi, come spesso accadde durante la Grande Guerra, si trovarono impreparati a sfruttare al massimo un grande ed inaspettato successo iniziale che, peraltro, non era stato previsto. Si “limitarono” dunque a rincorrere istintivamente l’avversario in fuga e a sfruttare tutti i suoi molteplici errori per arrivare comunque stremati e disorganizzati alle roccaforti del Piave. Così il Comando Austro-Tedesco si propose un obiettivo limitato e non si trovò perciò in grado di sfruttare il successo conseguente alla sorpresa. Contribuì a tale tendenza, dice il Bencivenga, il fatto che, nei pochi casi in cui i Comandanti impostarono un disegno d’operazione a largo raggio, la folla degli incompetenti si levò contro di essi quando non arrise loro il successo. E’ interessante notare come il Generale Bencivenga si guardi dal menzionare Pietro Badoglio, all’epoca Comandante del XVII corpo d'armata , l’unico schierato di fronte a Tolmino, che Mario Silvestri e molti altri storici della Grande Guerra additano come principale colpevole del mancato intervento, non appena i nemico sfondò il fronte sul medio Isonzo. Bencivenga ci fa chiaramente intendere che, anche se il Colonnello Cannoniere, al comando di Badoglio, fosse riuscito ad impiegare tutta la sua artiglieria (che anche per uno strano scherzo del destino rimase silente), lassù a Plezzo i fanti della Friuli nulla avrebbero comunque potuto contro i gas venefici, spalancando la porta principale della direttrice di attacco nemico.

A conti fatti, leggendo l’analisi dell’elemento sorpresa che sta alla base della vittoria Autro-Tedesca a Caporetto, ci si rende conto di quanto l’intera faccenda sia stata ingigantita e assurdamente stravolta per servire la causa di Cadorna e di tutti quanti furono chiamati a giustificare il proprio operato davanti alla commissione d’inchiesta ufficiale.

E’ vero che lo “stellone” d’Italia subì un gran duro colpo, ma sarebbe davvero ingiusto ostinarsi a parlare di disfatta o di debàcle davanti all’evidenza degli effetti di un semplice, vero agguato che il nemico stesso mai considerò un passo decisivo e finale verso la vittoria.

Emerge infine una saggia considerazione del Bencivenga che, già “esperto” in materia di sorprese ai danni di Cadorna (si veda “La Sorpresa di Asiago e di Gorizia” dello stesso autore – Gaspari Editore) afferma che: “Oggi occorre che il Comandante in capo abbia veri e propri collaboratori; la qual cosa non è affatto vero che ne scemi il prestigio, poiché sempre sua sarà la responsabilità e quindi il biasimo o la lode”.

Il Capo di Stato Maggiore dunque avrebbe dovuto scendere per ben più di un attimo dal proverbiale e comunque traballante piedistallo di onori, conferiti dai bollettini di guerra, e di oneri, imposti dal governo in carica e dagli invidiosi, per consultare, ad esempio, il suo Ufficio Informazioni che da mesi possedeva prove ed indizi di facilissima interpretazione sulle reali intenzioni del nemico.

 

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