La Grande Guerra 1914-1918

 

 

SCHIERAMENTO E STATISTICHE -
La dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria

LO SCHIERAMENTO DELLE NAZIONI BELLIGERANTI

 

Nell'immagine riportata di seguito e' mostrato lo schieramento assunto dai principali Paesi del mondo, durante la Prima Guerra Mondiale. E' bene inoltre ricordare che molte Nazioni mondiali, allora appartenenti ai domini coloniali delle principali Potenze europee, forniroro il proprio contingente militare in supporto dei rispettivi alleati e/o furono loro stesse teatro di scontri, perlopiu' scatenati per cercare alleggerire e sbloccare la guerra di posizione sui due Fronti principali paneuropei.

Lo schieramento della Grande Guerra 1914-1918

Imperi Centrali:
Tedesco, Austro-Ungarico, Ottomano, Bulgaria, Libia

Alleati o Intesa
Francia, Gran Bretagna, Belgio, Portogallo, Russia, Romania, Serbia, Grecia,Italia,
Giappone, Cina, Montenegro, Usa, Brasile, Perù, Bolivia, Panama, Cuba, Guatemala, Nicaragua,
Costa Rica, Haiti, Honduras, Equador, Liberia.

Le forze in campo all'inizio del conflitto.

Gli imperi centrali, ad esclusione dell'Italia, potevano contare su una popolazione di 120 milioni di uomini contro i 238 dei paesi dell'Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia), divisi però linguisticamente e geograficamente.

Gli austro-tedeschi schieravano, all'inizio del conflitto, 147 divisioni di fanteria e 22 di cavalleria, mentre l'Intesa faceva affidamento, per un pronto impiego, su 167 divisioni di fanteria e 36 di cavalleria. La notevole differenza demografica tra i due blocchi fece sentire i suoi effetti con il prolungarsi delle ostilità.

Inizialmente, infatti, solo la Francia fu costretta a reggere quasi del tutto il peso dell'attacco tedesco, schierando tutte le sue 72 divisioni di fanteria e le 10 di cavalleria per fronteggiare le 87 divisioni di fanteria e le 11 di cavalleria dell'esercito tedesco, peraltro di gran lunga superiore per artiglieria. La Russia, pur dando il suo contributo, non aveva ancora portato tutte le sue truppe sul fronte polacco per esercitare la necessaria pressione ad est.

Così, già nel1916, Francia e Germania furono obbligate ad attingere alle proprie riserve demografiche. La Francia, ad esempio, fu costretta a rivedere i suoi parametri di reclutamento chiamando alle armi anche gli ausiliari, i riformati, gli esentati, con la conseguenza di un abbattimento della qualità delle proprie forze armate. Nei mesi successivi, la Gran Bretagna riuscì a schierare ben 70 divisioni e la Russia, aiutata da Stati Uniti e Giappone, fu finalmente in grado di mobilitare gli uomini e i mezzi finora bloccati in Caucaso, in Siberia e in Turchestan.

La schiacciante superiorità in mare da parte dell'Intesa permetteva il trasferimento delle truppe e lo spostamento dei mezzi nei vari teatri di operazione, compensando così la divisione geografica del blocco anti tedesco. La Gran Bretagna, da sola, poteva schierare 64 corazzate contro le appena 40 navi da battaglia tedesche. La Francia, invece, aveva concentrato la sua flotta di 21 corazzate e 30 incrociatori nel Mediterraneo per contrastare la marina austriaca, anch'essa inferiore per numero di oltre la metà. Quasi ininfluente la flotta russa, che pur possedendo 8 corazzate e 22 incrociatori, è bloccata nel Mar Nero e nel Baltico.

Il Fronte Occidentale dal 1914 al 1918
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Le ragioni della guerra

La crisi del 1914 può definirsi l'esplicazione militare di una lunga tensione politica tra le grandi potenze europee che si trascinava da almeno un decennio: una prima crisi risale al 1905, in occasione delle iniziative tedesche per arginare l'espansione francese in Marocco; nel febbraio-marzo del 1909, poi, con l'annessione della Bosnia Erzegovina da parte austriaca, si riaccende la rivalità austro-russa nei Balcani; nell'agosto del 1911, una nuova crisi marocchina porta ad un nuovo confronto diplomatico tra Francia e Germania.

Nel 1912-13, infine, abbiamo le due guerre balcaniche, che mettono nuovamente in pericolo la pace tra Russia e Austria. Queste tensioni hanno tenuto in costante stato di allerta le maggiori potenze europee e di conseguenza portato ad una inarrestabile corsa agli armamenti terrestri e navali. Contemporaneamente, il vento nazionalista aveva tenuto sotto pressione l'opinione pubblica alimentando un certo odio tra i popoli, sia in virtù del desiderio di potenza della propria nazione siaotto forma di rivendicazioni etniche, come appunto il confronto tra Serbia e Austria.

La propaganda nazionalista, inoltre, aiutò molto i governi nel giustificare dinnanzi all'opinione pubblica le ingenti spese per il riarmo e per le spedizioni coloniali. Alla base delle tensioni internazionali vi erano comunque importanti interessi economici e territoriali per il controllo degli scambi internazionali, soprattutto alla luce delle ripetute crisi economiche avutosi tra il 1907 e il 1914.

 

La dichiarazione di guerra

L'attentato di SarajevoIl 28 giugno del 1914 era stato ucciso a Sarajevo il principe ereditario Francesco Ferdinando. L'omicidio ebbe subito dei risvolti politici inaspettati, e in breve le cose precipitarono. Il dispiacere dell'Imperatore Francesco Giuseppe si trasformò in un semplice espediente per permettere all'Austria di coronare il grande sogno di estendere il suo Impero nei Balcani. L'ultimatum del 23 luglio alla Serbia non fu altro che l'ennesima scena teatrale da parte dell'Austria per giustificare la propria buona fede di fronte alle diplomazie europee.

Il governo austro-ungarico accusava la Serbia di una complicità indiretta nell'organizzazione dell'attentato, poiché l'arma usata dall'omicida era risultata di fabbricazione nazionale ( arsenale di Belgrado ). Come garanzia si chiedeva che alle relative indagini fossero rese partecipi anche le autorità austriache. In caso contrario il Governo serbo sarebbe stato ritenuto complice e di conseguenza l'Austria avrebbe considerato l'attentato come un atto di ostilità nei suoi confronti. L'ultimatum aveva messo in guardia la Russia che aveva schierato le proprie truppe sul confine Carinziano, minacciando di intervenire in caso di aggressione alla Serbia.

Trascorsa appena una settimana, il 29 luglio, giungeva puntuale la dichiarazione di guerra alla Serbia che faceva precipitare il mondo nel terrore. Il 30 luglio, i primi proiettili di artiglieria colpivano la capitale Serba. Alla notizia del bombardamento, la Russia dichiarò la mobilitazione parziale contro l'Austria.

Da quel momento, tutti gli Stati Maggiori europei iniziarono i loro preparativi per la guerra. I tedeschi, per primi, avevano proclamato il Kriegsgefahrzustand ( stato di pericolo di guerra ). Si trattò, in realtà, di una sorta di paravento diplomatico che durò solo due giorni.

Il 31 luglio, di fatti, la stessa Germania inviava un ultimatum alla Russia per costringerla a sospendere i provvedimenti militari contro l'Austria e intimava alla Francia di non intervenire in caso di conflitto russo-tedesco. Allo scontato Niet dello zar, la Germania opponeva, il 1° di agosto, la sua dichiarazione di guerra, il giorno dopo, chiedeva al governo belga il libero passaggio delle proprie truppe in caso di guerra contro la Francia; il 3 di agosto dichiarava guerra anche a quest'ultima.

Propaganda di reclutamento britannicaA nulla erano servite le precauzioni di Parigi, che aveva fatto ripiegare di 10 km i propri soldati dalla frontiera, per evitare incidenti e così dare adito alla Germania per farsi una ragione sulla guerra. La possibilità di evitare il conflitto era stata creduta dai francesi fino all'ultimo. Dice Pierre Renouvin che, il 12 giugno1914, l'ambasciatore di Francia a Berlino aveva scritto: “Sono lungi dal credere che in questo momento ci sia nell'aria qualcosa che rappresenti per noi una minaccia; proprio al contrario”. Alla violazione della neutralità belga da parte dei tedeschi, la Gran Bretagna scioglieva anch'essa ogni riserva ed entrava in guerra a fianco dei francesi. L'Italia rimaneva per ora neutrale.

Pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra dell'Austria-Ungheria alla Serbia, il 3 agosto 1914, il governo presieduto da Salandra dichiarò la neutralità dell'Italia. Sul piano formale si era richiamato a una delle clausole del trattato della Triplice alleanza, firmato nel maggio 1882 con Germania e Austria-Ungheria e più volte rinnovato, che prevedeva l'intervento militare solo in caso di aggressione a una delle tre monarchie.

In realtà, il paese era diviso tra neutralisti e interventisti. Fra i primi, in maggioranza, i cattolici, i liberali di Giolitti e i socialisti; fra i secondi, gli irredentisti, i liberali conservatori, i socialisti riformisti, poi i repubblicani e l'ala defezionista socialista guidata da Mussolini. Antonio Salandra A conferma di uno stato di instabilità e incertezza politica, all'interno di questi schieramenti le posizioni subirono profondi mutamenti tra l’estate del 1914 e la primavera del 1915. I nazionalisti, ad esempio, sostenevano l'intervento, ma inizialmente a fianco della Triplice e solo dopo a fianco dell'Intesa. A sfavore dell'alleanza con gli Imperi Centrali pesavano le sconfitte subite nel 1866 nella terza guerra d'indipendenza contro l'Austria, al termine della quale era comunque stato acquisito il Veneto, ma non il Trentino e parte della Venezia Giulia, rimaste sotto il controllo del governo di Vienna. Seguendo ancora una volta, e non sarà l'ultima, l'ambigua politica del doppio binario, Roma intavolò trattative con Vienna per ottenere in via pacifica le terre irredente, senza però raggiungere nessun risultato tangibile.

Il passo decisivo per il mutamento delle alleanze fu rappresentato dal patto firmato segretamente a Londra il 26 aprile 1915 con i rappresentanti di Gran Bretagna, Francia e Russia, in base al quale l'Italia si impegnava a scendere in guerra a fianco dell'Intesa entro un mese. In cambio, in caso di vittoria avrebbe ottenuto, fra l'altro, il Trentino e l'Alto Adige fino al Brennero, Trieste, Gorizia, Gradisca, parte dell'Istria e della Dalmazia, diritti sull'Albania.

Dopo la denuncia della Triplice alleanza il 3 maggio, il governo Salandra, sulla spinta anche degli interventisti che avevano dalla loro parte un propagandista come Gabriele D'Annunzio, presentò al governo di Vienna la dichiarazione di guerra il 23 maggio 1915 , fissando l'inizio delle ostilità al giorno successivo.

La preparazione degli eserciti Italiano e Austro-Ungarico

Luigi CadornaSul piano strettamente militare, l'esercito italiano, guidato dal capo di stato maggiore Alberto Pollio dal giugno 1908 al luglio 1914, aveva rafforzato le linee di difesa soprattutto sul fronte nord-orientale, avviando la modernizzazione degli armamenti e riorganizzando le forze dopo la campagna di Libia del 1911-1912. Luigi Cadorna, succeduto a Pollio, pur nell'incertezza della situazione politica interna ed estera, diede inizio alla mobilitazione e poco dopo lo scoppio delle ostilità si trovò ad avere a disposizione 4 armate, suddivise in 14 corpi d'armata e 40 divisioni per un totale di 1.090.000 uomini, 216.000 quadrupedi, 3.300 automezzi, 930.000 fucili, 620 mitragliatrici e oltre 2.150 pezzi d'artiglieria. Sui circa 650 km di confine tra Italia e Austria le forze italiane furono così distribuite: la armata, dallo Stelvio alla val Cismon (passando per il Cevedale, Tonale, Adamello, alto Garda, altipiani di Tonezza e Asiago); 4a armata in Cadore e Carnia. Dal Monte Canin lungo il fiume Isonzo fino al mare la 2a e la 3a armata.

Gli austriaci misero in campo 221 battaglioni divisi fra comando del Tirolo, gruppo d'armata della Carinzia e 5a armata sul fronte isontino. La parziale inferiorità numerica delle loro forze era compensata da uno schieramento piu’ favorevole perche’ appoggiato a postazioni dominanti e ben protette, servite da un'efficiente rete stradale. Da notare che dallo Stelvio al Cadore gli opposti schieramenti si fronteggiarono quasi sempre in zone d'alta montagna dove i combattimenti si svolsero molto spesso in condizioni climatiche proibitive, con colpi di mano, azioni di mina e contromina durate mesi e avvalendosi dell'opera instancabile dei genieri per far giungere ogni tipo di rifornimento fino a postazioni isolate anche oltre i 3.000 metri. Postazione Austriaca tra i ghiacci

Il piano d'attacco del comando supremo italiano prevedeva in Trentino azioni locali miranti a impadronirsi di postazioni più favorevoli alla difesa, cercando di diminuire l'estensione del pericoloso saliente a sud di Trento. Nella zona del Cadore era previsto un attacco verso la piana di Dobbiaco e di Sesto mentre lo sforzo principale doveva essere esercitato a est, oltre l'Isonzo, verso Gorizia e Trieste e poi verso Lubiana e Zagabria, in coordinamento con le azioni di russi e serbi.

Poco dopo l'inizio delle ostilità, a nord sul fronte alpino fu occupata Cortina d'Ampezzo, il Monte Altissimo, il Coni Zugna e il Pasubio, mentre il caposaldo del Col di Lana fu attaccato senza risultato. A est fu raggiunta Monfalcone, Plava e a metà giugno fu conquistato il Monte Nero. Subito dopo iniziò la lunga serie di battaglie che presero il nome dal fiume Isonzo perché combattute in gran parte sulle sue rive e nelle zone circostanti. A fronte di qualche chilometro di terreno conquistato le perdite globali in questa porzione del fronte, assommarono a oltre 300.000 uomini: 131.000 austriaci e 173.000 italiani, tragico risultato della cosiddetta guerra di logoramento o di materiali.

La dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria

Il 23 maggio 1915, il Duca D’Avarna, ambasciatore d’Italia a Vienna, presentava al Ministro degli Esteri austroungarico la seguente dichiarazione di guerra: “ Secondo le istruzioni ricevute da S.M. il re suo augusto sovrano, il sottoscritto ha l’onore di partecipare a S.E. il Ministro degli Esteri d’Austria-Ungheria la seguente dichiarazione : Già il 4 del mese di maggio vennero comunicati al Governo Imperiale e Reale i motivi per i quali l’Italia, fiduciose del suo buon diritto ha considerato decaduto il trattato d’Alleanza con l’Austria-Ungheria, che fu violato dal Governo Imperiale e Reale, lo ha dichiarato per l’avvenire nullo e senza effetto ed ha ripreso la sua libertà d’azione. Il Governo del Re, fermamente deciso di assicurare con tutti i mezzi a sua disposizione la difesa dei diritti e degli interessi italiani, non trascurerà il suo dovere di prendere contro qualunque minaccia presente e futura quelle misure che vengano imposte dagli avvenimenti per realizzare le aspirazioni nazionali. S.M. il Re dichiara che l’Italia si considera in istato di guerra con l’Austria-Ungheria da domani. Il sottoscritto ha l’onore di comunicare nello stesso tempo a S.E. il Ministro degli Esteri Austro-Ungarico che i passaporti vengano oggi consegnati all’Ambasciatore Imperiale e Reale a Roma. Sarà grato se vorrà provvedere a fargli consegnare i suoi.”

Il proclama ufficiale di Re Vittorio Emanuele

Sua Maestà il Re, assumendo il comando supremo delle forze di terra e di mare, ha emanato il seguente ordine del giorno:" Soldati di Terra e di Mare L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire. Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell'arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà di certo superarlo. Soldati A voi la gloria di piantare il tricolore d'Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri."

Gran Quartier Generale, 24 maggio 1915

 

Il Proclama ufficiale di Francesco Giuseppe,
Imperatore d'Austria-Ungheria

"Ai Miei Popoli"

Il Re d'Italia mi ha dichiarato la guerra. Una fellonia quale la storia non conosce eguale, venne perpetrata dal regno d'Italia verso i suoi due alleati. Dopo un'alleanza di più di trent'anni, durante la quale essa poté aumentare il proprio possesso territoriale e assorgere a insperata prosperità, l'Italia Ci abbandonò nell'ora del pericolo e passò a bandiere spiegate nel campo dei Nostri nemici. Noi non minacciammo l'Italia, non diminuimmo il di lei prestigio; non toccammo il suo onore né i suoi interessi.

Noi adempimmo sempre fedelmente i Nostri doveri quali alleati e le fummo di scudo quando essa entrò in campo. Facemmo di più: Quando l'Italia rivolse i suoi cupidi sguardi oltre i Nostri confini eravamo decisi, nell'intento di conservare l'alleanza e la pace a gravi e dolorosi sacrifici, sacrifici questi quali particolarmente affliggevano il Nostro cuore paterno. Ma la cupidigia dell'Italia la quale credeva di dover sfruttare il momento era insaziabile.

E così la sorte deve compirsi. Contro il possente nemico al Nord la Mia armata fece vittoriosa difesa in una gigantesca lotta di dieci mesi, stretta in fedele fratellanza d'armi con gli eserciti del Mio augusto alleato. Il nuovo perfido nemico al sud non è per essa un nuovo avversario. Le grandi memorie di Novara, Mortara, Custoza e Lissa che formano l'orgoglio della mia gioventù e lo spirito di Radetzky, dell'Arciduca Alberto e di Tegetthoff, il quale continua a vivere nella Mia armata di terra e di mare, mi danno sicuro affidamento che difenderemo anche i confini meridionali della Monarchia.

Io saluto le mie truppe ferme nella lotta, abituate alla vittoria; confido in loro e nei loro duci. Confido nei miei popoli, al cui spirito di sacrificio senza pari vanno i Miei più sentiti ringraziamenti. All'Altissimo rivolgo la preghiera, che Egli benedica le Nostre bandiere e prenda la Nostra giusta causa sotto la Sua clemente custodia.

Vienna, 23 maggio 1915

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