La Grande Guerra 1914-1918

 

 

APPROFONDIMENTI

90 ANNI FA... CAPORETTO ..!
(di Nemo Canetta)

Fanti italiani in trincea, 1917Nell’ottobre 2007 l’Italia ha ricordato l’anniversario di uno degli avvenimenti più terribili e discussi tra le nostre vicende recenti: la XII Battaglia dell’Isonzo, vinta dagli austro-tedeschi contro il Regio Esercito. Sconfitta che molta pubblicistica italica ha trasformato nella Rotta di Caporetto.

Nella Grande Guerra ogni Esercito ebbe le sue sconfitte, le sue rotte. Forse un po’ meno germanici ed inglesi ma certo i francesi ebbero batoste tremende e gli austro-ungarici e i russi disfatte non certo inferiori alla nostra. Ma, mentre tutti gli altri Paesi hanno metabolizzato quegli avvenimenti dolorosi, in Italia se ne discute ancora e certo questo anniversario ravviverà l’interesse per uno dei momenti più tragici della nostra storia militare.

Non meraviglia quindi che sul tema Caporetto si sia scritto di più che su tutto il resto della Grande Guerra. Colpisce in particolare una sorta di autoflagellazione, specie degli autori di estrazione non militare che, dimenticando vittorie e eroismi di quel conflitto, hanno concentrato tutta l’attenzione su quei giorni tremendi di fine ottobre 1917, quasi che dei 40 mesi di guerra tutto confluisca in quella rotta. Anche su questo vi sarebbe molto da dire ma oggi vogliamo attirare l’attenzione su di un fatto sul quale ancor oggi si dibatte ma sul quale non si riesce a fare chiarezza: le vere cause della sconfitta. Si tratta di unArtiglierie italiane sull'Isonzo argomento minato e che vede confrontarsi pregiudizi e mezze verità, documenti spariti e affermazioni discutibili. Esempio tipico la celebre Relazione dell’inchiesta parlamentare sulla sconfitta. Già procurarsela è un colpo di fortuna ma ciò che inquieta è che ad essa mancano sempre le pagine che si riferiscono al Generale Badoglio, Comandante del XV Corpo d’Armata, uno dei più responsabili della sconfitta. Al momento della Commissione Badoglio era ormai il vice di Diaz ed era intoccabile. Perché Badoglio fu promosso e Cadorna, Capello e Cavaciocchi allontanati? E’ uno dei tanti misteri di Caporetto. Ma ce ne sono altri. Al punto che di recente il Direttore del Museo della Grande Guerra di Rovereto, in un suo libro, ipotizza che la ritirata fosse addirittura prevista e voluta dallo stesso Cadorna che, resosi conto dell’inutilità degli attacchi ad oriente, voleva raccorciare il Fronte, ritirandosi ad esempio al Tagliamento. Ma la situazione sfuggì di mano a tutti e ci si ritrovò al Piave. Ipotesi a dir poco ardita ma se pensiamo da quale ente giunge, certo lascia attoniti sulla poca limpidezza ancor oggi regnante sull’argomento.

Del resto l’Ufficio Storico dell’Esercito solo nel 1967 ha pubblicato la relazione su Caporetto. Sono 730 pagine di dati, deduzioni, mappe, documenti ma ... alla fine non si capisce bene cosa sia realmente successo. I Generali hanno commesso degli errori ma non tali da compromettere la situazione, i soldati, a parte qualche sbandamento, si sono battuti bene, la situazione globale non era negativa, noi sapevamo tutto grazie agli usuali disertori austriaci. E via di questa passo. Ma allora perché siamo stati sconfitti?!

La storiografia di sinistra non ha dubbi: i Generali erano dei crudeli e spietati imbecilli e gli stanchi soldati non desideravano altro che di tornare a casa. Il crollo fu causato da questi fatti. Anche qui qualcosa di vero c’è ma ... come mai mentre a Caporetto la parte nord della 2° Armata cedeva quasi di schianto, sulla Bainsizza le Divisioni della stessa Armata tennero duro e si ritirarono gradatamente combattendo? Per non parlare della mitica 3° Armata del Duca d’Aosta che, pur provata in mille combattimenti e mille massacri sul Carso, mantenne una tale compattezza da giungere sul Piave tanto solida da fermarvi l’avanzata austro-germanica. Forse a Caporetto e dintorni erano tutti i Generali stupidi e sadici, nonché i soldati stanchi, e altrove no? Suvvia, siamo seri! Un’ipotesi del genere non regge!

Il Generale Pietro BadoglioDi recente alcuni scrittori hanno messo l’accento su una serie di cause che avrebbero facilitato l’avanzata avversaria. Ad esempio il micidiale tiro a gas nella conca di Plezzo/Bovec. Vero, ma il tiro a gas non era purtroppo una novità. Ed in tutto e per tutto annientò solo un nostro Battaglione; il resto della Divisione era intatto, avrebbe potuto addirittura contrattaccare. Ancora il maltempo e le nebbie che resero impossibile l’azione delle artiglierie italiane. Bella scoperta! Chiunque sa che in ottobre nelle Alpi vi sono nebbie e piogge, per cui gli italiani avrebbero potuto prendere le adeguate misure. Non dimentichiamo anche che era già il terzo autunno che passavano da quelle parti. Ma soprattutto come potevano sapere gli austro-tedeschi che proprio nel giorno dell’attacco (stabilito da mesi causa la complessità logistica dell’operazione) il tempo sarebbe stato piovoso e nebbioso? Se le nostre artiglierie avessero avuto campo libero di tiro avrebbero potuto fare letteralmente a pezzi gli assalitori. Ma qui subentra un altro mistero. Il Generale Badoglio dette al suo Comandante di Artiglieria la disposizione tassativa di non aprire il fuoco se non per suo ordine diretto. Poi sparì e nessuno sa bene ove fosse. Alle cannonate austro-tedesche giunse trafelato al Comando ma tutti i collegamenti con le Batterie erano interrotti. Collegamenti che al tempo erano telefonici e se i fili si rompevano addio ordini. Ma le Batterie di Badoglio erano in posizione da due anni e mezzo, praticamente ferme, ben trincerate, spesso in postazioni di cemento armato. Sul Carso, sull’Isonzo -per non parlare del Fronte Occidentale- i bombardamenti di giorni e giorni erano usuali prima degli attacchi. Certamente qualche Batteria, talora molte, restavano isolate. Mai tutte. Anche perché, avendone ben il tempo tra una battaglia e l’altra, i fili telefonici venivano interrati e protetti, poiché si sapeva benissimo che potevano essere danneggiati dai colpi avversari.

Il Generale Pietro Badoglio dette al suo Comandante di Artiglieria la disposizione tassativa di non aprire il fuoco se non per suo ordine diretto. Poi sparì e nessuno sa bene ove fosse.

Nella Battaglia di Caporetto il tiro nemico fu violentissimo ma breve: poche ore. Come riuscì a interrompere tutti i collegamenti delle artiglierie di Badoglio, che se fossero intervenute a tempo avrebbero martellato le colonne di attacco implacabilmente? Ma ci sono degli avvenimenti ancora più incredibili. Il Tenente Rommel, con i suoi uomini certo ben addestrati ed assai decisi, ebbe il compito di “prendere” il Monte Matajur, alle spalle di Caporetto. Premio per il primo Ufficiale che avesse conquistato la vetta: la croce Pour le Mérite, la massima decorazione prussiana. Una bella galoppata, ma una galoppata troppoErwin Rommell lunga per essere sicuri che giungesse al termine positivamente. Dalla testa di ponte di Tolmino, donde partiva la nostra Volpe, al Matajur ci sono almeno 25 chilometri (25!) di terreno alpestre e solo il primo dislivello, che avrebbe portato il nostro sulle creste, è di ben 700 m. E qui gli italiani, solo facendo rotolare i sassi, lo avrebbero potuto bloccare o comunque rallentare. Ma non basta: in questa area era fortemente trincerato il famoso XV Corpo d’Armata di Badoglio; solo i suoi Artiglieri, migliaia e migliaia di uomini, se avessero preso a calci e sassate i Cacciatori di Rommel, li avrebbero potuti bloccare. Invece successe il contrario: che i nostri si arresero a centinaia a piccole pattuglie di tedeschi. Rommel nel suo diario cita questi episodi, non senza una punta di disprezzo per un nemico che reputa poco valoroso se non vigliacco.

Sovente gli Ufficiali si opponevano anche con le armi ma, soverchiati dal numero dei loro soldati, finirono tutti prigionieri. Proprio partendo da questi avvenimenti e dallo sbandamento generale nelle retrovie tra Caporetto e Udine, la storiografia marxisteggiante ha costruito la sua teoria sulla mortale stanchezza e la totale avversione alla guerra dei soldati. Lo stesso fenomeno che avrebbe portato le truppe russe a arrendersi in massa ai soldati austro-tedeschi sul fronte orientale. Ma perché, lo ripetiamo, questi avvenimenti interessarono solo una piccola parte del nostro Esercito e non altre Unità certo non più fresche di quelle battute nella XII Battaglia?

Il Generale Luigi CadornaCadorna, nel suo contestatissimo Bollettino in cui annunciava la sconfitta, bollò di codardia i reparti che non avevano combattuto. Ma la sua posizione era scomoda per tutti. Era scomoda per la Sinistra che nel periodo della guerra non aveva nessun interesse ad essere considerata colpevole della sconfitta. Ma non piaceva neppure all’Esercito o alla Destra che, specie negli anni venti, portarono avanti il mito di tutti leoni, tutti eroi sul Carso e sul Piave. Non c’era posto per deboli e insicuri, tanto meno per disertori o traditori. Tutto ciò ha praticamente bloccato la ricerca lungo la direzione della propaganda sovversiva che avrebbe minato il morale di alcune nostre Unità. Eppure i libri di documenti sono letteralmente zeppi di lettere e rapporti delle autorità militari contro giornali ed organizzazioni che, ora subdolamente, ora senza mezzi termini, facevano propaganda tra le truppe contro la guerra. In Francia, regnante l’ex rivoluzionario Clemenceau, che guidò la vittoria del Paese con pugno di ferro, quei giornalisti e politici furono spediti di fronte ai tribunali militari e non se la cavarono tanto facilmente. Da noi no! E fino all’ultimo tali fogli, giusto o sbagliato che fosse, giunsero nelle trincee. Ma come abbiamo detto l’argomento non piaceva a nessuno e sino ad oggi è stato ben poco considerato. Benché l’esempio dell’Esercito russo, che fu letteralmente disgregato dalla propaganda rivoluzionaria, sia lì davanti a tutti.

Il Generale Luigi Cadorna, nel suo contestatissimo Bollettino in cui annunciava la sconfitta, bollò di codardia i reparti che non avevano combattuto.

Nella nuova Russia di oggi, che sta rivedendo la propria storia, non pochi sostengono che i bolscevichi furono di fatto degli agenti tedeschi, inviati da Berlino ben muniti di denaro, per scardinare l’Esercito e lo Stato russi. Del resto che Lenin sia giunto a San Pietroburgo su un treno germanico, è cosa nota a tutti. Allora possiamo veramente escludere che un progetto simile, pur in assenza di un Lenin italiano, non fosse carezzato a Vienna o Berlino, per sbloccare la situazione sul fronte italo-austriaco, che per il Duplice Impero diveniva di mese in mese più pesante e drammatica? Devastazione dopo Caporetto

Possiamo escludere che un’azione sovversiva, pianificata e mirata alle Unità contro le quali si sarebbe sviluppato l’attacco, ne abbia talmente indebolito la resistenza, specie morale, da farle crollare di schianto? Possiamo escludere che qualcuno si sia spinto, in nome della rivoluzione proletaria mondiale, a sabotare le comunicazioni o ad altri atti che abbiano reso più agevole l’avanzata del nemico (in Russia accadde più e più volte)? Cosa dava al nemico la certezza del successo, benché il piano fosse ben lungi dall’essere semplice? Perché il Ten. Rommel era sicuro di passare, quasi fosse solo un’escursione, quando italiani ed austriaci, in analoghe condizioni, non riuscivano se non a prezzo di sforzi immani e sanguinosi?

Molte, forse troppe domande, che attendono, ancora oggi, una risposta chiara. Senza remore e senza ombre.

 

Museo di Caporetto/ Kobariski Muzej
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LETTURE DI APPROFONDIMENTO:

Isonzo 1917 –Mario Silvestri – BUR, 2001
Per la verità
– Luigi Capello – Fratelli Treves Editori, 1920
Note di guerra – Luigi Capello - Fratelli Treves Editori, 1920
La guerra alla fronte italiana – Luigi Cadorna - 1921
Badoglio, il maresciallo d’Italia dalle molte vite – Silvio Bertoldi - 1993
La sorpresa strategica di Caporetto – Roberto Bencivenga –
Caporetto nella leggenda e nella storia – Saverio Cilibrizzi – Libreria Internazionale Treves, 1947
Il Memoriale di Pietro Badoglio – Gian Luca Badoglio – Gaspari Editore, 2000
La rotta di Caporetto - Centro per le Ricerche Archeologiche e Storiche nel Goriziano

 

 

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